Comunicare è anche motivare e viceversa di Fabio Pecchia

Un giorno, prima di entrare in campo per l’allenamento, l’allenatore ci chiese di rimanere nello spogliatoio; era un momento delicato della stagione e la domenica avremmo dovuto incontrare una squadra che lottava per lo scudetto. Dopo qualche minuto di attesa, tra battute e risate, da lontano ho sentito zampettare un animale(ho pensato subito ad un cane, forse perché ne ho la fobia). Ed i miei timori trovarono immediata conferma: il nostro allenatore era entrato con un Rottweiler nello spogliatoio e, senza profferire parola, lasciò che l’animale ringhiasse (anche abbastanza arrabbiato!) per qualche attimo verso di noi. Il suo messaggio era chiaro: la domenica avremmo dovuto avere lo stesso atteggiamento del nostro ospite; scendemmo in campo e iniziammo l’allenamento”. Se devo essere sincero personalmente non la presi molto bene… più che la “rabbia del cane” la situazione sottolineò la mia “paura del cane”, ed è per questo che io in ogni caso al cane avrei preferito la mitica frase di V. Boskov : “Dai! Dai! testa fredda cuore caldo!”

Nello sport le motivazioni di un atleta possono fare la differenza fra raggiungere o mancare gli obiettivi di performance stabiliti.

In psicologia esistono varie classificazioni delle motivazioni; la distinzione classica tra Motivazione Intrinseca e Motivazione Estrinseca mi sembra molto appropriata per qualificare l’atteggiamento mentale dell’atleta nell’esecuzione della prestazione sportiva.
Un atleta con una forte motivazione intrinseca gioca per il puro piacere di farlo, il divertimento diventa il motore della sua partecipazione agonistica e il senso della fatica appare ridotto.
La motivazione estrinseca invece caratterizza gli atleti che nello sport cercano soprattutto riconoscimenti esterni, attraverso rinforzi positivi o negativi (premi o punizioni).

Un’altra classificazione possibile sui tipi di motivazioni riguarda il cosiddetto Orientamento al Compito e Orientamento al Sé:

  • un atleta orientato al compito desidera confrontarsi con se stesso e ricava piacere dall’apprendere nuove abilità, constatando i suoi miglioramenti.
  • un atleta orientato al sé, al contrario, cerca di dimostrare la propria capacità principalmente attraverso il confronto con gli altri,si sentirà perciò realizzato solo quando tale confronto gli sarà favorevole. Sarà quindi indifferente alla possibilità di migliorarsi, ma sarà motivato dal desiderio di magnificare il proprio ego.

Alcune ricerche hanno confermato una relazione positiva fra orientamento al compito e motivazione intrinseca; soggetti con entrambe queste caratteristiche sono definiti in psicologia a “Controllo Interno”; si tratta di persone che interpretano gli eventi come prodotto del proprio comportamento.

Mentre quelli che fanno dipendere gli eventi da altri fattori (fortuna,fato ecc.) sono definite a “Controllo Esterno”.
Al di là di queste classificazioni è indubbio che la comunicazione, sia con se stesso che con gli altri, deve essere certa, dettagliata e diretta.
La comunicazione certa si ottiene utilizzando i verbi al modo imperativo; quella dettagliata ha lo scopo di dare a noi stessi e agli altri informazioni precise, dettagliate perché la mente di ognuno di noi ha bisogno di elementi precisi per poterli realizzare e quella diretta serve a comunicare con immediatezza a noi stessi e agli altri l’obiettivo perseguito, il desiderio da realizzare e si ottiene utilizzando espressioni quali “Voglio questa cosa”: “E’ così! punto e basta”.

L’ indecisione, il dubbio, la paura di non farcela, l’incertezza e la poca chiarezza sono i principali ostacoli per le nostre performance.
Infatti l’indecisione dei messaggi che diamo a noi stessi e agli altri depotenzia la possibilità di esprimerci e di fare esprimere gli altri al
meglio. Solo grazie alla mia determinazione potrò condizionare la determinazione degli altri. La determinazione e la convinzione dell’allenatore si trasmette”quasi per osmosi” ai suoi calciatori; a volte tale convinzione (ovviamente orientata all’ottimismo) sembra rasentare la pazzia ma è proprio quando “l’impossibile diventa possibile” che nasce la forza per superare i nostri limiti. Per questo non potrò mai dimenticare una straordinaria notte allo Stadio S. Paolo di Napoli:

ormai sono passati tanti anni ma sento ancora il brivido della folla sulla mia pelle e l’emozione di aver vissuto quel giorno una serata speciale:
“Era una partita in notturna contro la squadra di Zeman; il primo tempo si concluse con noi sotto di due reti e “soddisfatti” del risultato, il passivo, infatti, poteva essere molto più pesante:

avevamo preso una “bambola” mai vista. Nel lungo (che in quel momento mi sembrava lunghissimo) sottopassaggio che dal campo ci conduceva negli spogliatoi continuavo a pensare alle numerose occasioni da gol degli avversari e soprattutto mi facevo tante domande (self-talk): “come facciamo ad arginare ‘sta squadra?”; “il
taglio dell’esterno chi lo assorbe?”; “chi prende la mezzala che si inserisce?”; “per quanto tempo dobbiamo correre dietro a questi assatanati?”.

Certamente nella mia testa si erano create delle rappresentazioni negative, ma sfido chiunque in un tourbillon del genere a pensare positivo. Nel frattempo ero finalmente arrivato nello spogliatoio: mi sedetti sconsolato al mio posto e guardai il resto della squadra: teste basse e nessuno che provava ad aprire bocca un po’ per rabbia, un po’ per delusione ma, soprattutto, perché avevamo bisogno di recuperare fiato, eravamo in apnea.

Dopo aver bevuto un bicchiere di tè caldo entrò il mister e pensai: “ora ci massacra” e invece, senza dare alcuna indicazione tecnico/tattica, ci disse: “dai dai giovanotti, adesso torniamo su e vinciamo 3 a 2!!” ” Sicuro! Sicuro!”. Dire che aveva sorpreso l’intero spogliatoio mi sembra riduttivo. Eppure l’effetto su tutti noi fu immediato e straordinario; già il viaggio di ritorno verso il campo fu completamente diverso, quel sottopassaggio che solo 15 minuti prima mi era sembrato infinito adesso mi sembrava molto più corto, tanta era la mia voglia di riprendere subito la partita. Ma nella testa mi frullava un solo pensiero: “il mio mister è un pazzo? o un mago?”…

La gara iniziò in maniera diversa: agevolati anche da un leggero calo di tensione degli uomini di Zeman, accorciammo subito le distanze. Più passava il tempo e più cresceva la convinzione di
poter recuperare la partita. E anche dopo aver pareggiato il nostro atteggiamento non cambiò, non arretrammo di un metro, eppure dopo un primo tempo del genere aver pareggiato quella partita
poteva essere considerato già un grande risultato; ma il mister ci aveva detto che avremmo vinto 3 a 2 e quindi avanti con coraggio a cercare la vittoria. Il vento evidentemente era cambiato, ma a dare forza alla nostra spinta, oltre al calore di un San Paolo infuocato ed entusiasta, c’era appunto la possibilità di materializzare la “profezia” del nostro istrionico tecnico.

Fu così che negli ultimissimi minuti vincemmo quell’incredibile partita. Proprio come aveva “previsto” il nostro allenatore/comunicatore, quella notte, sicuramente, anche un po’ “Stregone”.

 

Fonte tesi ufficiale di coverciano Allenare comunicando di Fabio Pecchia

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